Antonella
GIACHETTI

Mia madre racconta che quando sono nata mio padre esclamò: “E’ femmina?! Beh, anche le femmine possono fare il dottore commercialista!”.

E’ stato così, e non poteva essere altrimenti tenuto conto dell’amore infinito che mi ha sempre legato a lui. Anche se, nel tempo, l’interpretazione e l’indirizzo che ho dato al mio lavoro sono stati tutt’altro che convenzionali e sicuramente diversi da quelli che si sarebbe aspettato mio padre.

Crescendo ho infatti maturato la convinzione che la nostra esperienza di vita ha senso solo se è anche rivolta al servizio degli altri o comunque della comunità. Penso che il miglioramento del benessere collettivo non possa che rappresentare il nostro maggiore interesse individuale, soprattutto nel medio/lungo termine.

 

Questa mia visione che fa parte della mia intima essenza, è stata certamente favorita dall’ambiente familiare “al femminile” e dalla casa dove sono nata e vissuta fino ad oggi immersa nella natura di un giardino di cui la nonna e la mamma si sono sempre prese “cura”.

 

Ecco quindi che appena laureata e già iscritta all’albo professionale, a soli 23 anni, ho iniziato specializzandomi in quella che definisco “l’ottimizzazione dell’intestazione del patrimonio familiare”.

 

Avvertivo, cioè, la necessità di introdurre in una professione così tecnica, come quella del commercialista, la sensibilità femminile, soprattutto nella gestione di alcune dinamiche delle famiglie dotate di patrimoni familiari e aziendali, spesso travagliate al loro interno da conflitti economici, in realtà relazionali, che se non compresi e non gestiti con attenzione, difficilmente trovano composizioni equilibrate e valide tecnicamente.

 

Da ciò i miei studi sul trust e l’impegno nel diffonderne la conoscenza e utilizzazione, specie nella soluzione dei problemi di passaggio generazionale. Un’azione che mi ha appassionato e che definirei ‘un contributo alla serenità e alla prosperità della famiglia’.

 

E in effetti nella mia professione mi sono ritrovata sempre più spesso ad occuparmi di questioni più umane che economiche, fino al coinvolgimento diretto e attivo in iniziative no-profit e di valenza sociale.